lunedì 12 ottobre 2009

Berlusconi e la farfalletta

Essendo il Signore di Arcore diretta emanazione di Dio, della Sua venuta su questa terra si favoleggiava già secoli or sono, e tra i discorsi dei popolani e tra gli scritti dei più illustri pensatori.
Si racconta che per mantenere sempre viva la cognizione della provvidenziale discesa e conservare negli umani cuori la speranza di un avvenire di pace e splendore, in special maniera tra le italiche genti, ad ogni generazione un certo numero di donzelle di belle sembianze veniva colto da improvvisi letarghi mistici della durata di svariate ore, in taluni casi anche di giorni, durante i quali le fortunate prescelte, completanente inconsce, emettevan languide musicalità in tutto e per tutto simili ad orgasmiche lamentazioni. Al loro risveglio, i bei visi ancora conformati in una smorfia estatica, le veggenti raccontavan le nobili gesta e le infuocate parole dell'Atteso Signore e in tal modo il Mito Suo si andava arricchendo di lustro in lustro.
Di tanto in tanto, al novero delle popolane fanciulle si aggiungeva il nome di qualche maschietto, di solito scelto dalla Divina Giustizia tra le classi più colte, onde preservare le profetiche visioni dall'oblio del Tempo immortalandole nell'inchiostro e nella tradizione scritta, essendo quella orale suscettibile di travisamenti e deformazioni.
Uno di questi prescelti dal fallico sesso fu il lodigiano Francesco di Lemene, burlesco e sensuale poeta di madrigaletti nello stile de la Maniera, il quale calpestò la polvere italica dal 1635 (essendo nato l'anno innanzi) e il 1704.
Si tramanda che costui ebbe centinaia di mistiche trasposizioni a tema dell'Illustre Nostro Signore, ma una in particolare lo colpì a tal guisa che abbisognò di un mese di convalescenza per riaversi e riacquistare le sopite forze.
Egli non volle raccontare nè ai parenti nè ai posteri cosa vide e udì in quelle sublimi ore, ma si sentì fortissimamente chiamato a lasciare in eredità all'Illustrissimo un monito, o meglio un fraterno consiglio di vita, vivamente sperando in cor suo che Quello, quando Iddio finalmente avesse deciso, per pietà degli umani, di porLo in terra, ne facesse tesoro per il bene Suo e della di Lui patria.
Naturalmente, per realizzare il suo proposito, il poeta di Lodi utilizzò le armi che gli erano più congeniali, quelle del poetar, appunto, e scrisse i versi che noi oggi abbiamo goglamente recuperato e ve ne facciamo dono.
Si sa per certo, da una biografia non autorizzata che il giovane Berlusconi Signore di Arcore, lesse quella poesia ai tempi del Liceo e ne fece addirittura un approfondito commento che vendette al compagno di banco come tesina d'esame, ricavandone lauti guadagni.
Ma si sa vieppiù che non ne fece tesoro come il di Lemene avrebbe voluto e se ne dimenticò completamente per il resto della sua lunga provvida vita.
Ma qualcosa di quei versi rimase inconsapevolmente nella memoria del Berlusconi e operò in vece Sua.
Si dice difatti che Egli abbia un'inconscia predilezione per il delicato animaletto e regali tuttora alle sue ospiti femminili ciondoli e tatuaggi di foggia farfallesca.

Ed eccovi ora i versi di Francesco di Lemene dedicati al Signore di Arcore:


"La Farfalletta"

E che sì, che scherzando scherzando,
farfalletta bruciarti tu vuoi?
Troppo la luce miri,
troppo intorno t'aggiri,
parti, parti,
non fidarti,
che si sa,
che chi cerca i perigli a perir va.

Farfalla, io dico a te, ma sospirando
penso de' miei perigli e non de' tuoi.

E che sì, che scherzando scherzando,
farfalletta bruciarti tu vuoi?

Francesco di Lemene

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